miercuri, 30 iulie 2025

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 UNA PAGINA DI STORIA ITALIANA. 


134) ATTILA, RE DEGLI GLI UNNI. 


Gli Unni fecero la loro apparizione ai confini dell'impero romano verso il 330 d.C. quando, forse a causa di mutamenti climatici o di eventi atmosferici avversi, furono costretti a spostarsi dal territorio su cui erano stanziati (probabilmente quello posto tra il lago d'Aral e il Mar Caspio) per dirigersi verso ovest, in cerca di pascoli più verdi. 

Negli anni a cavallo del 370, essi varcarono il Volga e poi il Don, invadendo le estese pianure corrispondenti all'attuale Ucraina, abitate dagli Alani, che sottomisero ed inglobarono; poi, così rafforzati, piombarono sui territori abitati dai Goti dell'est, gli Ostrogoti, a loro volta sconfitti e sottomessi. I Goti che abitavano ad Ovest del mar Nero, i Visigoti, invece, impauriti a morte da quei guerrieri più simili a demoni che ad uomini, trovarono scampo fuggendo e chiedendo ospitalità all'impero (fu l'inizio di quel fenomeno di migrazione di massa che sfociò, come abbiamo visto, nella grande sciagura di Adrianopoli del 378).


Il primo a parlare di questa popolazione nomade, inorridito dal loro aspetto animalesco, fu lo storico Ammiano Marcellino (ca. 332-395) che nel Rerum gestarum (libro XXXI) così li descrisse: "Hanno membra robuste e salde, grosso collo e sono stranamente brutti e curvi, tanto che si potrebbero ritenere animali bipedi o simili a quei tronchi grossolanamente scolpiti che si trovano sui parapetti dei ponti". 

Avevano piccoli occhi infossati ed un naso schiacciato, che non sporgeva quasi dal viso, poiché sin da neonati ai maschi veniva stretta sul naso una benda, in modo da impedirne la crescita, cosicché da grandi avrebbero potuto portare con più naturalezza l'elmo. L'aspetto di molti di essi, soprattutto di quelli di alto rango, era, peraltro, reso ancora più spaventoso dalla abitudine di fasciargli con bende strette la testa, fin dall’infanzia, in modo da deformarne, come segno distintivo, il cranio, rendendolo oblungo. 

"Il loro aspetto, ci tramanda lo storico Giordane, è così terribile che intimoriscono assolutamente anche coloro che sono loro pari in battaglia. I loro nemici fuggono atterriti dai loro spaventosi volti scuri. Hanno, per così dire, una massa informe al posto della testa e occhi minuscoli.……. trattano brutalmente i propri figli sin dalla nascita, facendo con la spada un taglio sulle guance dei maschietti in modo che imparino a sopportare le ferite prima di ricevere il nutrimento del latte. Un volto così sfregiato dalla spada deturpa il naturale bell’aspetto di una barba e i giovani sono brutti e crescono senza barba….. Nonostante abbiano corpo di uomini, sono feroci come bestie selvagge». 

Come l'aspetto anche il loro tenore di vita era rozzo e primitivo, tanto che non avevano bisogno, continua Ammiano Marcellino, "né di fuoco né di cibi conditi ma si nutrono di radici di erbe selvatiche e di carne semicruda di qualsiasi animale, che riscaldano per un po' di tempo fra le loro cosce ed il dorso dei cavalli". 


Come tutti i nomadi, gli Unni erano formidabili cavalieri, tanto che, ci tramanda Marcellino, tutta la loro vita si svolgeva a cavallo: "inchiodati, per così dire, su cavalli forti, anche se deformi, e sedendo su di loro alle volte come le donne, attendono alle consuete occupazioni. Stando a cavallo notte e giorno ognuno in mezzo a questa gente acquista e vende, mangia e beve e, appoggiato sul corto collo del cavallo, si addormenta così profondamente da vedere ogni varietà di sogni. E nelle assemblee in cui deliberano su argomenti importanti, tutti in questo medesimo atteggiamento discutono degli interessi comuni". 

Per di più, la loro irruenza ed il loro sprezzo del pericolo era tale che "potrebbero poi essere considerati senz'alcuna difficoltà i più terribili fra tutti i guerrieri poiché combattono a distanza con giavellotti forniti, invece che d'una punta di ferro, di ossa aguzze che sono attaccate con arte meravigliosa, e, dopo aver percorso rapidamente la distanza che li separa dagli avversari, lottano a corpo a corpo con la spada senz'alcun riguardo per la propria vita".


Quella unna, probabilmente, era una popolazione originaria dell'attuale Mongolia, identificabile forse con quella degli Xiongnu (o Hiang-nu), che, dopo aver saccheggiato per un lungo periodo i territori cinesi, furono vinti e, grazie all'aiuto della Grande Muraglia, allontanati definitivamente.

Ricacciata nella steppa, la popolazione unna fu costretta a migrare verso ovest, dove si aprivano pascoli immensi, adatti alla sua vita da nomade; essa si stabilizzò nella steppa euro-asiatica intorno al 200 a.C., un periodo, pare, durante il quale il clima era temperato, rimanendovi, come abbiamo visto, fino agli inizi del IV sec. d. C..


Dopo essersi gradualmente avvicinati ai confini dell'impero ed aver inglobato, oltre ad Alani ed Ostrogoti, le diverse tribù trovate nella loro avanzata, verso la fine del secolo, intorno al 395, un inverno eccezionalmente rigido, facendo gelare il Danubio permise agli Unni di attraversarlo e di stabilirsi nella fertile pianura pannonica, l'attuale Ungheria.

Il loro arrivo in una zona già ampiamente abitata da popolazioni germaniche emigrate da nord a sud nei secoli precedenti, causò un enorme sommovimento di popoli: Vandali, Alani, Burgundi, Svevi ed altri popoli minori, nel 406, furono costretti a fuggire dalla furia distruttrice di quel popolo tanto primitivo, invadendo in massa, come abbiamo visto, l’Europa centrale, mentre le tribù meno strutturate, quelle ancora non aggregate in grandi popoli, ed, in parte, piccole frange vandale o longobarde, scire o gepide ed altre, furono assoggettate ed inglobate.  

Stanziatisi ai confini dell'Impero, che iniziarono a razziare a loro piacimento, gli Unni entrarono ben presto in contatto con l'autorità imperiale che incominciò a versare loro tributi, non solo perché evitassero le ormai abituali razzie dei latifondi e città posti al confine, ma anche perché vide in quel popolo una fonte inesauribile di guerrieri da arruolare come mercenari del proprio esercito.


La politica che gli Unni adottarono in origine nei confronti dell'impero fu una politica di buona vicinanza, come abbiam visto nel caso in cui, credendo di ingraziarsi l'imperatore d'Oriente, gli restituirono la testa di Gainas che, dopo essere stato scacciato da Costantinopoli nel 400, aveva cercato di porsi in salvo presso di loro. 

Anche qualche anno dopo, nel 405, il loro re Uldino fu utilissimo ai Romani per sconfiggere, a fianco di Stilicone, i Goti di Radagaiso nella battaglia di Fiesole. 

Nel 408, però, Uldino si fece più intraprendente e sfidò una prima volta l'impero: avvenne alla morte di Arcadio quando, giudicando l’impero debole solo perché il nuovo imperatore, Teodosio II, era ancora un infante (aveva 7 anni), tentò di invadere l’Oriente, venendo prontamente sconfitto e ricacciato al di là del Danubio dal prefetto del pretorio Antemio.


Agli inizi del 400, intanto, gli Unni, che fino a qualche decennio prima rappresentavano una confederazione di tribù con una organizzazione politica ed amministrativa ancora primitiva, entrati a contatto con l'impero romano e con i popoli germani che avevano conquistato, incominciarono anche ad evolversi, dandosi una prima struttura organizzativa unitaria; intorno al 420, a capo di quel miscuglio di razze, dominate dagli Unni col terrore, stanziati prevalentemente in Pannonia ed Ucraina, vi erano i due fratelli, Octar e Rua, forse figli di Uldino, uno, probabilmente, re del popolo stanziato in Ucraina, l'altro, re di quello stanziato in Pannonia. 

Alla morte di Octar, quando tutto il regno unno passò sotto la guida di Rua, il popolo unno incominciò ad incutere davvero timore, tanto che i Romani cercarono di comprare la loro alleanza, non solo mediante gli ormai abituali tributi ma anche attraverso frequenti trattati, che favorissero una pacifica convivenza.


In questo contesto, nacque, a cavallo del 400 (alcuni affermano nel 395 altri nel 406) Attila, figlio di un fratello del re Rua (e di Octar); perso il padre che era ancora bambino, Attila crebbe, insieme al fratello Bleda, con lo zio Rua, ricevendo, come si confaceva, un'educazione da vero guerriero (pare che Attila già a cinque anni fosse un cavaliere provetto, in grado di combattere efficacemente con archi e frecce). 

Era ancora ragazzo quando, avendo Roma concluso un trattato di pace con il re Rua, Attila, secondo le usanze dell'epoca, pare che fu coinvolto in uno scambio di ostaggi di alto rango (esperienza toccata, come abbiamo visto, anche al giovane Flavio Ezio), vivendo per un periodo di tempo a Ravenna, dove imparò anche il latino. 

Verso i vent'anni, tornò presso lo zio, collaborando con lui nella politica di distensione tra la corte unna e quella orientale. 

 

Nel 434, alla morte dello zio Rua, che non aveva figli maschi, il trono passò a Bleda e ad Attila, anche se quest'ultimo, verosimilmente, ebbe, almeno all'inizio, una posizione subordinata rispetto al fratello maggiore. 

La successione avvenne in un clima di incertezza, tanto che due giovanissimi membri della famiglia reale, Mama e Atakan, forse figli di una figlia del re, quindi legittimi pretendenti al trono, dopo l'ascesa di Bleda e di Attila, ritennero, per la loro sicurezza personale, di rifugiarsi in Oriente, presso Teodosio II. 


Per un po', comunque, i nuovi re continuarono la politica del loro predecessore, tenendo dunque fede agli accordi raggiunti con il trattato siglato solo l'anno prima che, tra l'altro, riconosceva agli Unni, in cambio della loro amicizia e della promessa di non saccheggiare i possedimenti di confine, un tributo di 350 libbre d'oro. 

Questo accordo consentì sette anni di pace tra i due popoli confinanti, durante i quali gli Unni collaborarono fedelmente come ausiliari dell'Impero: nel 436/437 essi ebbero una grande parte nella distruzione del regno dei Burgundi (cui si ispirò la saga dei Nibelunghi) e, sempre nel 437, truppe unne arruolate nell'esercito di Ezio, contribuirono alla repressione dei Bagaudi in Armorica e alla sconfitta dei Visigoti alle porte di Narbona, che costrinse i Goti a levare l'assedio.


Il trattato del 433, a causa della sempre maggiore ingordigia degli Unni, fu tuttavia rivisto nel 439, quando Attila e Bleda, rigorosamente seduti a cavallo secondo l'usanza unna, conclusero un nuovo accordo ancor più vantaggioso del precedente, con il quale i Romani non solo accettarono un raddoppio del tributo in oro dovuto agli Unni (da 350 libbre romane, circa 114,5 kg, si passò a 700 libbre) e del riscatto per ogni Romano fatto da loro prigioniero (che, quindi, passò da quattro ad otto solidi) ma furono costretti anche a concedere una maggiore libertà di mercato ai commercianti unni nonché a riconsegnare o riscattare a peso d'oro, coloro che, scappati dalla dominazione unna, avevano trovato rifugio nell'impero. In quel contesto, i Romani furono costretti a restituire anche Mama e Atakan i quali, allo scopo di eliminare qualsiasi futuro problema di successione, furono dagli Unni immediatamente crocifissi, nonostante la loro ancora giovane età.


Mentre questi erano i rapporti tra Impero d'Oriente ed Unni, nel 440, Genserico, re dei Vandali, invase la Sicilia con una potente flotta. Il timore di Teodosio II che le scorrerie vandale potessero estendersi oltremodo rafforzando troppo il nemico, lo spinse ad accogliere le preoccupazioni dell'Occidente e ad intervenire massicciamente, con il proposito di liberarsi per sempre del pericolo vandalo: nella primavera del 441, mossero da Costantinopoli un poderoso esercito ed una flotta di 1.100 navi, diretti a liberare la Sicilia, per poi sbarcare in Africa e riconquistare Cartagine. 

La preoccupazione di contrapporre ai Vandali un esercito quanto più potente possibile, aveva però condotto Teodosio II, sicuro di aver definitivamente rimosso il pericolo unno con il trattato di pace dell'anno prima, a sguarnire eccessivamente il limes danubiano.


Questa circostanza risvegliò evidentemente gli appetiti e l'ingordigia degli Unni, che così decisero di approfittare dell'occasione: con un pretesto, dunque, Bleda ed Attila ruppero gli accordi da poco raggiunti e piombarono nei Balcani, saccheggiando Margus, Viminacium, Singidunum (l'attuale Belgrado) e Sirmium; dopo qualche mese fu devastata Naissus, la città chiave per la difesa dei Balcani (abbiamo già visto in passato che fu teatro anche della provvidenziale vittoria di Claudio il Gotico sui Goti), che assistette, sgomenta, ad una strage senza precedenti. 

Teodosio, allarmato, ritenne più urgente difendersi da Bleda ed Attila, arrivati troppo vicini a Costantinopoli, che fermare il pericolo vandalo; dunque, richiamò l'esercito inviato contro i Vandali, ma prima che la flotta tornasse accettò di firmare una nuova pace con gli Unni.

Dopo questo ulteriore accordo, mentre l'Impero d'Occidente fu costretto ad accettare un'umiliante pace con i Vandali di Genserico, in Oriente si ebbe un ulteriore periodo di pace, durante il quale, però, la città di Costantinopoli fu colpita da gravi calamità naturali (terremoti) e sanitarie (epidemie) che piombarono l'Impero in un periodo di grande crisi economica. 


Intorno al 444, Bleda morì, in circostanze non chiare, durante una battuta di caccia, forse vittima di un complotto ordito proprio dal fratello Attila (ma di questo, non ci son prove) che, così rimase il solo re degli Unni. 

Di carnagione scura, basso di statura, con torace prominente, spalle larghe e collo taurino a sorreggere una testa pur essa sproporzionata, con gli occhi piccoli e la barba sottile e brizzolata, così come i capelli, il naso piatto e camuso, Attila incuteva terrore solo a guardarlo. "I suoi modi erano superbi, traspariva la sua potenza in ogni suo atto, fin nello sguardo. Cupido di guerra, sapeva però frenare all'uopo questo ardore, saggio si mostrava in consiglio, non era inflessibile coi supplichevoli, favoriva coloro che gli si legavano con fede" ( Chathaubriand, "Sopra la caduta dell'impero Romano", 1836).

Vestiva con abiti semplici, ci narra lo scrittore Prisco, che lo conobbe di persona, facendo parte della delegazione romana deputata alle varie trattative che intercorsero tra impero ed Unni, e si cibava "in modo morigerato a dispetto delle portate sontuose servite agli ospiti, in preziose argenterie. Attila era un uomo essenziale, motivo per cui la pulizia e l'igiene personale erano innate in lui quanto nel suo popolo, era un uomo sobrio e pulito e nulla può far credere che queste non fossero le comuni usanze della popolazione".


"La sua capitale era un campo od un grande ovile nei pascoli del Danubio: i re che egli aveva debellati dovevano ciascuno alla lor volta vegliare alla porta del suo abitacolo; le sue donne abitavano capanne intorno alla sua dimora. Abbandonava ai suoi compagni d'arme i vasi d'oro e d'argento conquistati, capi d'opera delle arti greche, mentre forniva le sue mense di piatti di legno e di grossolane imbandigioni). Assieme a queste mense, dal suo sgabello, riceveva gli inviati di Roma e di Costantinopoli. Al suo lato faceva sedere non gli ambasciatori, ma oscuri Barbari, suoi generali e capitani: beveva alla loro salute, e dopo aver magnificato il suo vino, concedeva grazia ai già conquistatori del mondo" (Chathaubriand).


Dopo la misteriosa morte di suo fratello Bleda, Attila, che in qualche modo doveva diffidare dei notabili Unni, si circondò di consiglieri di cultura e di formazione romana, tra cui il romano Oreste e lo sciro Edicone (di loro sentiremo parlare anche in seguito, allorché vedremo come il figlio di Edicone, Odoacre, farà uccidere Oreste e deporrà il figlio di lui, Romolo Augustolo, sancendo la fine dell’Impero d’Occidente). Quindi, inaugurò una nuova politica di aggregazione, avendo capito che solo l'unificazione delle varie tribù del suo popolo, fino allora vissute indipendenti l'una dall'altra, legate solo dal fragile legame costituito dalla federazione, poteva fare degli Unni una forza in grado di opporsi veramente all'Impero e non solo spaventarlo con le solite razzie o gli estemporanei saccheggi e devastazioni. 


In poco tempo, questa politica di unificazione, unita a quella di aggregazione dei tanti popoli germanici del centro Europa vinti e sottomessi, portò, infatti, a costituire un regno che comprendeva tutta la Russia meridionale e tutto il bacino del Danubio (Dacia, Pannonia, Germania meridionale), avente come capitale un grande villaggio situato nella pianura ungherese nord-occidentale, nei pressi dell'attuale Budapest. Prisco ci dice che gli edifici reali erano al centro del villaggio, posti nel luogo più in alto, costruiti in legno e di modesta altezza, circondati da un muro di cinta munito di torri, più per pompa che per difesa. 


L'unificazione del suo popolo dette ad Attila maggiore consapevolezza della sua forza, cosa che lo spinse ad essere più aggressivo nei confronti del remissivo Oriente; questa volta il casus belli fu l'omesso versamento dei tributi che Teodosio II si era impegnato a corrispondere periodicamente agli Unni ed il suo ripetuto rifiuto ad adempiere intimato da Attila. Era accaduto, infatti, che ai tragici eventi naturali che avevano colpito la città di Costantinopoli era seguito un periodo di grande crisi economica di tutto l'Impero, per cui Teodosio si era trovato in grave difficoltà e sospeso i versamenti. Invero, ne aveva corrisposti pochi di versamenti, soprattutto a causa, si ritiene, di lotte di potere interne alla corte orientale (dove un eunuco, di nome Crisafio, con sotterfugi e menzogne, era prima riuscito a liberarsi di Pulcheria, sorella dell'imperatore, e poi, anche dell'imperatrice Elia Eudossia, per concentrare il vero potere nelle sue mani). 


Il rifiuto ad ottemperare quanto pattuito, scatenò allora ancora una volta la violenta reazione di Attila che, passati i Balcani, mise a ferro e fuoco la Grecia, distruggendo ben settanta delle sue città. 

Teodosio gli inviò contro il suo esercito che, pur sconfitto sul fiume Utus (attuale Vit), riuscì ad infliggere al nemico pesanti perdite; cosicché, quando Attila giunse alle porte di Costantinopoli, la cui poderosa cinta muraria danneggiata dal terremoto era stata solertemente ricostruita e rafforzata, poté essere ricacciato senza difficoltà, scongiurando il pericolo peggiore.


Teodosio ammise la sconfitta e, dopo lunghe trattative, durante le quali cercò anche di far assassinare Attila da uno dei suoi più stretti collaboratori (che, tuttavia, non tradì il suo re neanche di fronte a promesse di grandi donativi), fu costretto ad accettare condizioni di pace ancora più pesanti di quelle disattese: il tributo annuale fu triplicato fino a 2.100 libbre d'oro (687 kg) e l'ammontare del riscatto di ogni prigioniero romano aumentò fino a 12 solidi mentre le somme arretrate da corrispondere immediatamente furono calcolate in oltre 6 000 libbre d'oro romane (1963 kg). Inoltre, Attila pretese che tra il suo regno e l'Impero romano ci fosse, in territorio romano, una striscia di terra libera che si estendeva per 480 km ad est di Singidunum (Belgrado) e oltre 100 km a sud del Danubio.

La condiscendenza del debole Teodosio era tale, che ormai Attila imponeva ciò che voleva. 


Mentre i rapporti con Costantinopoli erano diventati negli ultimi 7/8 anni così aspri, le relazioni degli Unni con Roma erano continuate ad essere improntate ad amicizia, soprattutto per il legame che legava Attila ad Ezio; anche da Roma, peraltro, Attila riceveva un tributo annuale, pur sotto forma di compenso per la sua veste di generale romano. 

La crescita impetuosa del suo regno ed i suoi successi ad Oriente, con Teodosio II soggiogato dalla sua forza, dovettero, però, in qualche modo sollecitare l'autostima del re unno, che dal 448 iniziò a trattare con arroganza anche l'Occidente, dicendo che i generali dell'imperatore (quindi anche Ezio) erano suoi servi e che i suoi generali erano pari di grado all'imperatore romano.


La contrapposizione vera e propr

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